Il primo profumo sez. 2

La mostra "Il Primo Profumo: Tappūtī e la Storia degli Aromi", ha ripercorso la lunga e ricca storia culturale della profumeria, dall'antica Assiria (1200 a.C.) all'età moderna e intendeva presentare il significato culturale dei profumi insieme ad alcuni aspetti tecnici della loro produzione attraverso una selezione di manoscritti, libri antichi a stampa e manufatti.

Elemento centrale della mostra è stata la ricostruzione sperimentale e l'interpretazione moderna del profumo di Tappūtī-Bēlat-Ekalle codificato in KAR 220, una tavoletta cuneiforme conservata al Vorderasiatisches Museum di Berlino, che contiene la più antica ricetta nota di un olio infuso "adatto a un re".

La mostra ha presentato i metodi utilizzati nella replica sperimentale dell'antica ricetta, insieme al contesto storico e all'eredità culturale della produzione di profumi iniziata nell'antico Iraq. La storia della profumeria assira è stata contestualizzata all'interno dei confini dell'antica Mesopotamia e, allo stesso tempo, è stata inserita all'interno di una più ampia storia intellettuale del profumo, che include riferimenti alle sacre Scritture, all'alchimia e alla filosofia naturale.

 

Cosa sappiamo di Tappūtī-Bēlat-Ekalle

Vissuta nel XIII secolo a.C., Tapputi fu una creatrice di profumi babilonese e il suo nome è menzionato in una tavoletta scritta in cuneiforme datata intorno al 1200 a.C.

Sappiamo che per la preparazione dei profumi usava fiori, oli e resine, aggiungeva acqua o altri solventi, poi bolliva e filtrava. Nel testo della ricetta non vi è alcun riferimento alla distillazione, una tecnica introdotta molto più tardi nella produzione dei profumi.

Il termine che nelle testimonianze segue il nome Tappūtī - "Bēlat-Ekalle" - era un titolo onorifico babilonese che significava "sovrintendente donna di palazzo" e lavorò con un'altra donna chiamata (—)-Ninu (la prima parte del suo nome è andata perduta).

 

Tappūtī e la tavoletta KAR 220

La tavoletta KAR 220 è stata ritrovata nell'antica città di Aššur (nel nord dell'Iraq) e risale al 1230 a.C. Il testo include un colofone che attribuisce la ricetta di "un olio infuso adatto a un re" a Tappūtī, definita donna esperta nell'arte della profumeria, come testimonia la complessità della procedura descritta. Le quantità degli ingredienti e del prodotto finale dimostrano, inoltre, l'esistenza già in quei tempi di una vera e propria industria profumiera. Inoltre, il confronto con testi simili ci conferma la produzione di altri profumi, diversi in termine di composizione e qualità, per la corte reale e anche per l'esportazione.

La ricetta riportata nella tavoletta descrive l'uso di diverse piante aromatiche, tra cui il calamo aromatico, il mirto, l'olio di mandorle, ma anche il cardamomo, lo zigolo e alcune piante ancora non identificate con precisione. Tra queste ultime spicca la resina pirṣaduḫḫu, un'essenza di importazione e che sappiamo avere avuto grande valore economico.

 

La ricostruzione sperimentale del profumo di Tappūtī

La procedura descritta nella ricetta è abbastanza elaborata. Il testo è, purtroppo, frammentario e una parte consistente della procedura è perduta. Tuttavia, la natura formulare di questo tipo di testi e le similitudini con altre ricette ci permettono di ricostruire almeno in parte le operazioni da svolgere, ricordando comunque che qualsiasi ricostruzione è un'approssimazione del prodotto originariamente descritto nella ricetta.

Da ciò che è giunto fino a noi, il profumo di Tappūtī veniva preparato con una serie di infusioni in acqua e in olio per estrarre le sostanze aromatiche.

La procedura descritta nella tavoletta si basa su ripetute infusioni, prima in acqua e poi in olio, delle sostanze aromatiche. Nel testo, infatti, non troviamo alcun riferimento a processi riconducibili alla distillazione.

L’estrazione per infusione permane nel mondo classico: Teofrasto, il primo allievo di Aristotele, racconta come i profumieri di Atene unissero il “secco” con l’“umido”spezie essiccate e triturate venivano bollite e macerate per estrarne le essenze, poi mescolate con oli vegetali ricavati da piante come il mandorlo.

Talvolta i profumi venivano colorati con tinture naturali per intensificare l’esperienza sensoriale, in un modo che oggi definiremmo sinestetico.

L'arte della distillazione

Un nuovo capitolo si aprì con l’arte della distillazione. Le prime descrizioni compaiono negli scritti arabi. Nel IX secolo il filosofo e medico al-Kindī illustrò come distillare delle “acque aromatiche”, tra cui la prima ricetta per l’acqua di rose. Questo distillato è anche citato in testi alchemici bizantini, come prodotto esemplare che si poteva ottenere tramite distillazione. Tuttavia, tecniche di estrazione più antiche rimangono in uso, ancora tramandate da fonti moderne come i manoscritti del fondo Caprara: per preparare l’olio di noce moscata, la spezia viene cotta prima nel vino e poi scaldata e schiacciata per estrarne l’olio. Per l’essenza di elleboro nero, la pianta viene pestata, cotta a bagnomaria e quindi distillata per estrarre le componenti volatili.

La distillazione è una tecnica più sofisticata rispetto ad una estrazione in acqua, vino, o olio: permette di separare le sostanze meno volatili da quelle più volatili, che vengono fatte evaporare e poi ricondensate. Il liquido che si forma viene infine raccolto in un contenitore separato. A volte viene aggiunta acqua alla miscela da distillare (in quella che prende il nome di distillazione in corrente di vapore), in modo che la temperatura non aumenti troppo–evitando quindi di degradare i composti aromatici. Il flusso del vapore, inoltre, aiuta a trasferire i composti aromatici verso il contenitore di raccolta.

 

Gli ingredienti della ricetta di ​Tappūtī

Nella ricetta di Tappūtī, l’ingrediente cardine è il calamo (Acorus calamus). Acorus calamus è una pianta originaria dell’Asia centrale, largamente diffusa nei climi temperati. Se ne usa in particolar modo il rizoma, ricco di beta-asarone, metil-isoeugenolo, saponine e lectine. Questa pianta, ben nota nel mondo antico, veniva usata per le sue proprietà sia aromatiche che medicinali. Ad esempio, la troviamo citata nella Bibbia per la preparazione di unguenti sacri, mentre Galeno ne ricorda le proprietà diuretiche e Dioscoride quelle emollienti e drenanti.

ll mirto (Myrtus communis) è un’altra essenza che troviamo nella ricetta. Il Myrtus communis è una pianta tipica della macchia mediterranea, ma diffusa fino all’India. Le foglie contengono mirtolo, tannini e resine. Pianta ben nota nel mondo classico, considerata sacra alla dea Venere, Dioscoride descrive il mirto come astringente e diuretico, ma anche utile per tingere i capelli. L’uso rituale e religioso del mirto inizia tra i Sumeri, e lo ritroviamo nello Zoroastrismo, nell’Ebraismo, nell’Islam e tra i Drusi e Mandei. Ha anche impiego alimentare, con i frutti che vengono usati, ad esempio, nella preparazione di un celebre liquore sardo.

La ricetta di Tappūtī descrive anche come preparare un olio di mandorle (Prunus amygdalus), in cui le essenze aromatiche venivano infuse. Il Prunus amygdalus è una pianta originaria dell’Asia, tuttavia diffusa da tempo immemore fino al Levante e al bacino del Mediterraneo, essendo citata anche nel libro della Genesi (43,11). La mandorla è ricordata da Dioscoride per le sue molte proprietà, anche se della dolce ed edibile dice essere meno efficace come medicamento. Oggi l’olio di mandorle è largamente usato in cosmesi per le sue proprietà emollienti, e in qualche caso anche nella preparazione di oli medicati da applicare sulla pelle.