La Divina Commedia di Dante Alighieri. Esposizione, testo e varianti di edizioni e codici insigni a cura di Nicola Zingarelli. Tavole illustrative da opere antiche e moderne ordinate e commentate da Paolo D'Ancona. Bergamo, 1934La prima sezione della mostra virtuale è dedicata ai ritratti di Dante reperiti in alcune edizioni moderne della Divina Commedia che la BUB possiede.

 

L'iconografia dantesca deve molto alla descrizione che Giovanni Boccaccio ne fece nel Trattatello in laude di Dante (1362). Sebbene Boccaccio non avesse avuto conoscenza diretta del Sommo Poeta, attinse tuttavia indicazioni da persone che lo avevano conosciuto o gli erano state amiche. L'immagine che Boccaccio descrive nel suo breve trattato è probabilmente quella di un Dante prossimo alla fine.

"Fu adunque questo nostro poeta di mediocre statura, e, poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto, e era il suo andare grave e mansueto, d’onestissimi panni sempre vestito in quell’abito che era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lungo, e il naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quel di sopra avanzato; e il colore era bruno, e i capelli e la barba spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico e pensoso."

 

Antiche fonti ricordano due ritratti fedeli di Dante.

Il primo di Giotto, che fu ritenuto suo amico, nella cappella della Maddalena del palazzo del podestà di Firenze (il Bargello) e l'altro di Taddeo Gaddi nel coro cintato della navata maggiore di Santa Croce. Quest'ultimo è andato distrutto nel 1566.

Nel ritratto del Bargello, Dante è rappresentato come era prima dell'esilio, verso il 1300-1302. Il palazzo del podestà fu però devastato da un incendio nel 1322 e in seguito profondamente restaurato. La critica si interroga se quello che vediamo si tratta, quindi, di ciò che rimane del ritratto dipinto da Giotto quando Dante era ancora a Firenze oppure se è di un allievo che nel 1337 ha ricalcato o copiato un affresco o un quadro giottesco (immagini 1 e 2).

Poco dopo il 1350, Nardo di Cione dipinge Dante nella cappella Strozzi in Santa Maria Novella. E' già un Dante diverso da quello dipinto da Giotto: più maturo, dai lineamenti più marcati e l’aspetto severo e cupo (immagine 3).

Altro ritratto severo è il profilo contenuto nel codice Riccardiano 1040, dei primi del Quattrocento, attribuito a Giovanni del Ponte. Il naso aquilino, gli occhi grossi e il labbro inferiore prominente non possono non ricordare la descrizione del Boccaccio (immagine 4).

Tra il 1449 e il 1451 Andrea del Castagno, tra i massimi protagonisti del primo Rinascimento fiorentino, decora a fresco il salone della villa Carducci Pandolfini con figure di sei fiorentini illustri - tra i quali Dante - e di tre donne sapienti. Si tratta del primo ritratto di Dante nel Quattrocento. Il poeta è ritratto in piedi a figura intera, leggermente di scorcio, col piede destro e la mano sinistra avanzate, quasi a voler emergere dallo spazio della rappresentazione. Nella mano destra tiene un libro. Il volto è luminoso e fresco, il naso non così aquilino ma piuttosto affilato. Della descrizione di Boccaccio torna il particolare del labbro inferiore prominente (immagine 5).

In queste prime raffigurazioni, Dante è vestito di una veste ampia, lunga, con grandi maniche fino al gomito sopra ad altre più strette. Il capo è coperto da una cuffia bianca aderente alla testa con punte che coprono le orecchie. A essa è sovrapposto un berretto che fascia la fronte e ricade a cappuccio sul dorso. Quasi sempre ha vicino o in mano dei libri: la Commedia e le altre sue opere. 

 

Dalla seconda metà del '400 la testa di Dante è cinta da un serto di alloro che allude al suo status di poeta, come vedete in un altro ritratto di Dante imponente e severo: quello intarsiato da Giuliano da Maiano (1481) sopra una porta lignea della Sala dei Gigli in Palazzo Vecchio (immagine 6).

La più grande e celebre raffigurazione di Dante è quella dipinta da Domenico di Francesco, detto di Michelino, sul muro settentrionale del duomo di Firenze nel 1465, commissionata in occasione del secondo centenario della nascita di Dante. Come modelli a cui ispirarsi, Domenico aveva a disposizione l'affresco di Giotto e quello di Taddeo Gaddi, il ritratto di Andrea del Castagno e la descrizione del Boccaccio. Il Sommo Poeta, coronato di alloro, è raffigurato in piedi, a figura intera. Con sguardo malinconico o forse addirittura triste, guarda la città di Firenze, a lui preclusa dalle mura e la porta chiusa. Con la mano sinistra regge la sua opera e con la destra indica l'Inferno. Sullo sfondo le rappresentazioni del Purgatorio e del Paradiso. Ai piedi del dipinto, tracciata in due righe, vi è un'iscrizione laudatoria (immagine 7). 

 

Degli ultimi del '400 – inizi del Cinquecento sono gli affreschi di Luca Signorelli della Cappella Nuova o di San Brizio nel duomo di Orvieto, che illustravano i temi della fine del mondo e dell'aldilà: Storie dell'Anticristo, Giudizio Finale, Resurrezione della Carne, Inferno, Paradiso. Nei quadrati interposti tra i pilastrini, Signorelli rappresenta anche Dante nel suo studio. Ritratto di profilo e a mezza figura, il poeta tiene la testa china sulle pagine aperte della Commedia oppure è intento a consultare un codice. L'espressione è amara e triste (immagine 8).

Di pochi anni successiva è la decorazione della stanza della Segnatura in Vaticano, commissionata da papa Giulio II a Raffaello Sanzio. Il motivo iconografico dominante è l'esaltazione delle idee del vero, del bene e del bello. Nella Disputa del Sacramento (1509), tra i teologi, i dottori della Chiesa e i pontefici, ma anche i filantropi, i letterati e i semplici fedeli è rappresentato anche Dante, con un piglio fiero e severo (immagine 9). 

Se le edizioni della Commedia ripetono le fattezze ormai fissate in una ben riconoscibile iconografia (immagine 11), alla metà del XVI secolo Vasari rappresenta un profilo di Dante un po’ diverso, con il naso a forma più massiccia, quasi a zoccolo di cavallo. Dante, col libro della Commedia, addita a Cavalcanti, Petrarca, Boccaccio, Guittone D’Arezzo e Cino da Pistoia il globo celeste e quello terrestre (immagine 10).

 

“Nel Sei e Settecento la fortuna figurativa di Dante rimase per lo più sopita; né si aggiunse qualcosa di significativo a quanto avevano già portato i secoli precedenti. È con l'Ottocento che Dante rientra nell'arte figurativa; a preferenza però non isolato, ma nel contesto d'illustrazioni delle sue opere o della sua vita. Era del resto il periodo dei quadri storici; e D., le sue vicende, le sue invenzioni poetiche, la Commedia così piena di spunti visivi e storici, vi si prestavano egregiamente…. Con l'Ottocento infatti D. fu preso a simbolo unificatore di tutti gl'Italiani, mentre la patria era tuttora divisa. Nel nostro secolo egli è sentito ancora come tale simbolo nel Dante Adriatico di Adolfo De Carolis.” (Cfr. Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1970. Vol. III, p. 353)

 

La parabola dantesca scema progressivamente nel corso dei secoli XVII e XVIII. Nel Seicento la fama di Dante raggiunge il suo punto più basso, se consideriamo che dal 1596 al 1702 si hanno solo tre edizioni della Commedia e nessun commento. Nemmeno nel Secolo dei Lumi il Sommo Poeta ha una buona accoglienza.

E' a partire dallo Sturm und Drang e dalla ricezione delle prime istanze romantiche in Italia che la fortuna ritorna. Nell'Italia delle lotte risorgimentali Dante Alighieri è assunto a simbolo stesso dell'unità linguistica e politica dell'Italia.  

Il tema del poeta esule torna nel ritratto di "Dante seduto in riva all'Adriatico" (1860) del pittore vicentino Domenico Petarlini pervaso da influenze romantiche. Malinconico e pensieroso, il poeta è seduto in atteggiamento assorto accanto ad una roccia e tiene un libro sulle ginocchia. Sullo sfondo il paesaggio marino (immagine 12).

In Francia, l'anno successivo il disegnatore e litografo Gustave Doré realizza l'illustrazione del busto di Dante per l'edizione Hachette della Divina Commedia. Le sue incisioni sono apprezzatissime. Non solo decretano il successo e il prestigio professionale di Doré ma determinano l'iconografia dantesca degli anni successivi (immagine 13). 

 

Nel Novecento molti artisti si cimentano con i ritratti di Dante. Si assiste a un'autentica fioritura dei ritratti di Dante a partire dal 1920, quando il Ministero della Pubblica Istruzione pubblica un bando per la realizzazione del ritratto ufficiale del poeta in occasione delle celebrazioni per il VI centenario della morte.

Nella mostra virtuale trovate un'acquaforte di Romeo Bonomelli in cui un Dante anziano, severo e assorto è ritratto seduto a mani giunte. Sullo sfondo, una pineta (immagine 14). 

L'allora Direttore dell'accademia di Belle Arti di Ravenna, Vittorio Guaccimanni disegna a carboncino un "Ritratto di Dante" (1921) in cui il poeta è di profilo, seduto con aria pensosa mentre osserva il foglio davanti a sé poggiato su un tavolo disegnato in scorcio. In basso si leggono i due versi del Paradiso: "A cui han posto mano e cielo e terra sì che m'ha fatto per più anni macro." (immagine 15).

Dello stesso anno è la famosissima la xilografia realizzata da Adolfo De Carolis. L'artista ritrae Dante a mezzo busto, il capo coronato d'alloro, le mani con le dita incrociate poggiate su un libro aperto e lo sguardo pensoso rivolto verso l’alto. Sul libro aperto è possibile leggere gli ultimi versi del Paradiso. Sullo scrittorio, al di sotto del volume della Commedia sono collocati i libri del Convivio e della Vita NovaSullo sfondo le tre arcate simboleggiano le tre Cantiche: quella a sinistra, immersa nel buio, l'Inferno, quella centrale, che s’intravede dietro al Poeta, il Purgatorio, e quella a destra, illuminata da una piccola candela, il Paradiso. De Carolis donò una delle copie della xilografia al poeta Gabriele D'Annunzio, che la battezzò "Dantes Adriacus", titolo che rimase all'opera (immagine 16). 

 

Quanto alle sculture, la maggior parte di esse vorrebbe rifarsi alla perduta maschera funebre di Dante. Se non si può escludere che esistette davvero una maschera funebre del Sommo Poeta, nessuna delle cosiddette maschere esistenti “mostra gli aspetti inconfondibili di un calco preso direttamente sopra un morto”.  (Cfr. Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto della Enciclopedia italiana, 1970. Vol. III, p. 353)

Nella mostra virtuale le immagini di alcune di queste maschere, che risalgono a tempi piuttosto recenti (immagini 17, 18 e 19).