Un breviario per la certosa di San Girolamo di Bologna

Il manoscritto BUB, Ms. 343 è classificato come "breviario" nella carta di guardia ed è così registrato dalla critica successiva. Nel caso specifico il termine psalterium, presente nella notula di possesso del XIV secolo (carta 1v), deve riferirsi alla forma "breve" del salterio (150 Salmi davidici con le antifone di loro pertinenza).

Al codice tuttavia mancano delle porzioni che contraddistinguono il breviario in senso peculiare (Proprium de tempore, Ordinarium, Proprium sanctorum, Commune sanctorum), mentre largo spazio è lasciato all'Innario. Queste caratteristiche tradirebbero una forma ibrida, una sorta di salterio-innario (salterio-liturgico). L'aggiunta di altri contenuti utili alla liturgia comunitaria dell'ufficio (lezionario, omeliario, antifonario), non permette di considerarlo ad esclusivo uso privato-devozionale, come poteva invece essere il salterio-libro d'ore o il libro d'ore vero e proprio.

Nel foglio di guardia è presente la nota relativa alla collocazione e alla provenienza del manoscritto, a inchiostro bruno, la cui grafia è stata identificata con quella di mano di Lodovico Montefani Caprara, bibliotecario dell’allora Istituto delle Scienze di Bologna (1740-1785), oggi Biblioteca Universitaria. L’antica segnatura di collocazione informa che il codice BUB, Ms. 343 trovava posto in Aula II dove erano collocati i codici di maggiore valore.

 

Il miniatore

La decorazione di questo manoscritto costituisce un tassello importante per la comprensione dell’inizio dell’attività di Nicolò di Giacomo, uno dei miniatori più importanti e prolifici del panorama entro e fuori Bologna, dalla seconda metà del Trecento agli inizi del secolo successivo. L’artista sembra dipendere dai modi del Maestro del 1346 che una recente ipotesi propone d’identificare con prudenza con il padre, Jacopo di Nascimbeni (Medica 2018). Una supposizione affascinante che potrebbe spiegare persino la compartecipazione all’esecuzione del Compendium moralis philosophie (Parigi, Bibliothèque Nationale de France, ms. Lat. 6467, carta 1r) eseguito nel 1346 (Stefano Candiani 2022) e solitamente attributo al solo Maestro del 1346.

Lo stile espresso nel codice sembra vicino a quello dell’Offiziolo di Kremsmünster vergato nel 1349 dal calligrafo Bartolomeo de’ Bartoli e ai precoci Innari vaticani (ms. Ross. 279-280) per la comunità domenicana di Sant’Agnese a Bologna. Nicolò di Giacomo nel codice bolognese esprime un gusto già arguto e ricco di umori, contraddistinto da una tavolozza limitata in cui si stagliano il rosso e il blu, accanto a più delicati verdi e rosa. Tipico della sua fase giovanile è il tono ancora aspro, come si può riconoscere nella cornice, l’unica dell’intero codice, che si aggroviglia secondo un ritmo ispido e un po’ selvatico, memore anche della coeva pittura di Vitale da Bologna. 

 

Reti monastiche certosine: da Bologna a Firenze e ritorno

La notula di possesso non lascia dubbi sull’appartenenza certosina del manoscritto. Il 25 ottobre del 1365, grazie alla licenza accordata al convento, il priore di San Girolamo di Bologna, Giovanni, identificato con Giovanni di Tardona (1367-1374), paga tre fiorini il “psalterium” in predicato al priore dello stesso ordine della certosa del Galluzzo di Firenze, Niccolò, riconosciuto con Niccolò di Guido.

Il codice dovette tuttavia essere stato eseguito non oltre il quinto decennio a Bologna, entro il perimetro della certosa di San Girolamo, probabilmente sotto il priorato di Alberto da Sala in carica fino al 1347, come tradisce l’esaltazione del dedicatario della certosa bolognese attraverso due specifici Inni (carte 227r-228r, carte 228v-230r) e la presenza festiva nel calendario. Portato presso la certosa di Firenze da un monaco di Bologna lì trasferitosi, fece ritorno nella città emiliana solo nel 1365.

 

Gli inni di San Girolamo

L’inno per definizione è un componimento strofico con melodia a carattere sillabico, degni di nota sono i due dedicati a Girolamo, (rubrica anteposta: Ad honorem Dei et beati Ieronimi) invocato apertamente in alcune strofe.

Aggiunti al termine della redazione del codice, si presentano separati dagli altri Inni. Il primo Nunc fratres decet scandere risulta inedito sia per il testo che per la melodia (Basili 2023). Il secondo, Ecce qui Christi, pur essendo già noto, sembra essere comunque l’attestazione più antica del canto. Entrambi sono un’ulteriore conferma che il manoscritto sia stato commissionato da un monaco certosino di Bologna.