Il Codice Cospi (BUB, ms. 4093) è uno dei soli tredici manoscritti mesoamericani precoloniali oggi esistenti al mondo. Il codice fu realizzato da pittori nahua orientali tra il XV e gli inizi del XVI secolo, con ogni probabilità in due diverse località della regione di Puebla, nel Messico centrale. 

 

Struttura

Il manoscritto è costituito da una striscia di pelle di cervo, lunga 3640 mm, alta tra i 174 e i 182 mm (a sua volta composta da cinque diverse strisce di pelle incollate tra loro) e ripiegata a leporello in modo da ottenere 20 pagine. L’intera striscia di pelle fu inizialmente coperta su entrambi i lati con uno strato di gesso bianco, sul quale vennero poi tracciate le pitture. Una prima campagna pittorica interessò le prime 13 pagine del recto, dipinte impiegando nerofumo, lacca di cocciniglia mischiata con un secondo colorante rosso non identificato, Blu Maya (un ibrido organico-inorganico composto da indaco e paligorskite), tre diversi ibridi giallo-arancioni e un verde ottenuto mischiando blu e giallo; le aree bianche sono ottenute “a sacrificio”, lasciando cioè visibile il fondo bianco delle pagine. Una seconda campagna pittorica, con ogni probabilità occorsa in una località diversa da quella dove venne effettuata la prima, interessò invece 11 pagine del verso, dipinte capovolgendo il codice di 180°. L’artista che la dipinse impiegò nero di carbone vegetale, Blu Maya, lacca di cocciniglia e orpimento. Dato che nessuna delle due campagne pittoriche interessò l’intera lunghezza del codice, sia il verso che il recto includono diverse pagine bianche.

 

Contenuto

Dal punto di vista tematico, il Codice Cospi è un manoscritto mantico. Il recto è suddiviso in tre diverse sezioni. La prima (pagg. 1-8) è costituita da un tonalpohualli (“conta dei destini”), un ciclo di 260 giorni impiegato per la divinazione. Una griglia di linee rosse suddivide le 8 pagine in cinque fasce di 52 riquadri l’una, per un totale di 260. All’interno di ogni riquadro, il nome del giorno è affiancato, sulla destra, da una delle nove divinità note come “Signori della Notte”. L’ordine di lettura inizia in basso a sinistra di pag. 1, prosegue lungo la stessa fascia sino a pag. 8, riprende dall’estremo sinistro della penultima riga di pagina 1 e così via, sino ad arrivare all’angolo in alto a destra di pag. 8. Per utilizzare il tonalpohualli, così come le altre sezioni del codice, il divinatore (tonalpouhque, “Colui che conta i destini”) doveva quindi dispiegare davanti a sé l’intera sezione, cosa resa possibile dalla struttura a leporello. I margini superiore e inferiore delle prime otto pagine sono occupati da rettangoli contenenti figure diverse, la cui specifica funzione mantica non è chiara.

La seconda sezione (pagg. 9-11), nota come Almanacco di Venere, è costituita da cinque diverse immagini di Tlahuizcalpantecuhtli (“Il Signore della Casa dell’Alba”), cioè Venere come Stella del Mattino, che nel giorno della sua levata eliaca trafigge una serie di elementi causando diversi tipi di sventure (siccità, carestie, crisi politiche ecc.). Sulla sinistra delle pagine, dei riquadri contengono le date in cui la funesta levata elica di Venere sarebbe potuta avvenire nell’arco di un periodo di 208 anni.

La terza sezione (pagg. 12-13), nota come “I Quattro Templi”, è costituita dalle immagini di quattro divinità, ognuna associata a uno dei quarti del ciclo di 260 giorni, che bruciano incenso davanti a dei templi. La specifica funzione mantica di questa sezione è ignota.

Il verso del codice è invece costituito da un’unica sezione che si estende sulle pagine 21-31; ognuna delle pagine è occupata dall’immagine di una divinità affiancata da animali e offerte. Al di sotto della divinità si osservano gruppi di barre e punti che indicano forse il numero di offerte da deporre nel corso di specifici rituali legati alla caccia e alla protezione da animali pericolosi.

 

Storia

Con ogni probabilità il Codice Cospi fu condotto dal Messico a Bologna dal missionario domenicano Domingo de Betanzos (c. 1480-1549), giunto in città il 3 marzo del 1533 per incontrare Clemente VII, al quale donò diversi manoscritti pittorici e manufatti indigeni. Rimasto in città, il codice dovette essere posseduto sequenzialmente da diverse famiglie bolognesi sino a quando, il 26 dicembre del 1665, fu donato dal Conte Valerio Zani al Marchese Ferdinando Cospi, come registrato su una delle due coperte europee di pergamena che oggi proteggono il codice. Menzionato nei diversi inventari della collezione cospiana – e descritto con particolare dettaglio nel Museo Cospiano (1677) di Lorenzo Legati –, il codice ne seguì le successive vicende: nel 1743 fu trasferito dal Palazzo Pubblico all’Accademia delle Scienze dell’Istituto di Bologna passando poi, nel 1803, all’Ateneo bolognese, che ancora lo conserva presso la Biblioteca Universitaria di Bologna.

 

Digitalizzazione 

Per assicurarne la fruizione con finalità di studio e ricerca ne viene resa disponibile una digitalizzazione integrale

BUB, Ms. 4093

 

Le fotografie presenti in questa pagina sono di Luca Sgamellotti - © Dipartimento di Storia Culture Civiltà (DISCI) - Università di Bologna