BUDE’ GUILLAUME, Commentarii linguae Graecae
Colonia, Giovanni Soter, marzo 1530
BUB, A. VI. Tab. II.G.II.37

Cuoio di capra bruno su quadranti in cartone decorato a secco e in oro. Filetti concentrici. Cornice a filetto dorato. Tracce di quattro lacci. Cucitura su tre nervi rilevati. Indorsatura e rimbocchi rifatti. Carte di guardia rinnovate e coeve. Rosetta pentalobata e corolla svasata sormontata da arco negli angoli, la prima ripetuta quattro volte nella cartella centrale entro crescenti, foglie d’edera, fiammelle, sfondo quadrangolare, archi, ghiande. Tagli rustici. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura originale parzialmente rifatto al dorso. Restauro Pietro Gozzi, Modena, 1985.

I fregi e le note tipografiche propongono di assegnare la legatura al secondo quarto del XVI secolo, verosimilmente eseguita nel Veneto. In evidenza l’iscrizione al taglio di piede a testimoniare la collocazione del volume a piatto.

 

 

GRITTI ANDREA, Diploma ad Iacobum Antonium Aurium capitaneum
Ms. membranaceo, secolo XVI
BUB, Ms. 2623
Provenienza: Monastero del Santissimo Salvatore di Bologna

Cuoio di capra bruno su quadranti in cartone decorato a secco e in oro. Due fasci di filetti concentrici. Coppia di cornici caratterizzate ghiande fogliate, coppie di gemme addossate, steli rettilinei avvolti da fogliami di acanto sormontati da rosetta esalobata. Motivi di gusto orientaleggiante negli angoli interni dello specchio. Il Bambino entro sfondo circolare avvolto da serto di archi e fogliami trilobati al piatto anteriore, la Fenice a quello posteriore. Capitelli, indorsatura, rimbocchi e carte di guardia membranacee rinnovati. Cucitura su tre nervi. Labbri muti. Tagli rustici. Stato di conservazione: mediocre. Gore grigie al materiale di copertura originale, scomparso lungo il dorso. Rifacimento del Gabinetto di restauro del libro.    

Il genere di legatura (commissione dogale), l’impianto ornamentale, i fregi, la bibliografia e le note manoscritte consentono di assegnare la legatura al secondo quarto del XVI, eseguita a Venezia dall’emblematic binder. Artigiano attivo dal 1530 al 1552 circa, così connotato in quanto in possesso di una serie di ferri figurati, è da segnalare più per il numero di opere residue che per l’originalità dei decori. Commissioni di magistrati sono ornate con la figura della Giustizia affiancata dal leone di S. Marco con Fortitudo oppure la Vergine e il Bambino a rappresentare la misericordia. Due dei manufatti sono provvisti di fodera, circostanza inusuale per il periodo. Almeno 23 i manufatti censiti, incluso quello considerato. In evidenza i tagli rustici e l’incipit miniato.

Il volume costituisce uno dei 506 codici del SS. Salvatore trasportati in Francia nel 1796, come attesta il timbro rosso della Bibliothèque nationale, ritornati quindi a Bologna nel 1815, dopo la caduta di Napoleone.

 

Cosa sono le commissioni dogali

Le commissioni dogali rappresentano un documento o una lettera ufficiale del Doge o del Governo di Venezia, diretto a un altro Governo o a un privato. Esse erano ricoperte riccamente: di solito in marocchino, in seta, in velluto, in argento, ma le più antiche anche in pergamena grezza, come quella del Doge Michele Steno a Daniele Barozzi, podestà di Pirano, nel 1411. Manoscritte su pergamena e precedute in genere da una pagina lussuosamente miniata, costituiscono importanti documenti ai fini della documentazione storica, oltre a essere preziosi oggetti d’arte; conservate inizialmente presso le famiglie veneziane che hanno dato nei secoli alla Repubblica magistrati in carica, sono andate progressivamente disperse sul mercato antiquario europeo e americano.

La loro presenza è stata segnalata a partire dal 1473 sin verso il 1650 ( Nixon 1971, pp. 194-197); legate in numerose varietà di stili, tutte datate, costituiscono una sicura documentazione per la storia della legatura veneziana, pur essendo ogni esemplare in rapporto più al gusto personale del committente che a una tradizione istituzionalizzata. In una pubblicazione ad opera di Orfea Granzotto (Granzotto 1999) presenta e descrive con ampiezza di particolari 24 differenti tipi di Commissioni Dogali, dal 1411 al 1772.

Le più celebrate tra queste legature sono quelle a cassettoni, costituite da piatti in doppio strato di cartone. Quello superiore, in cui è ritagliato il disegno dei compartimenti, viene incollato su quello inferiore; dopo la ricopertura con corame, vengono impressi sulla parte in cavo dei piatti stampi di metallo della forma del ritaglio (gli stampi recano incisi di solito disegni floreali), e al centro viene impresso il leone di San Marco in moleca.

Con questa espressione, di schietto sapore veneziano, si indica il Leone di San Marco, animale araldico della Serenissima che compare sempre al centro delle Commissioni dogali, quando è raffigurato entro uno spazio rotondo oppure ovale, così da rassomigliare ad un granchio, che nel dialetto veneziano è detto, appunto, moleca allorché nel periodo della muta si libera dal guscio esponendo il corpo molle. Gli scompartimenti affossati vengono poi decorati con i disegni floreali pitturati con lacche colorate e in oro.

 

 

CAVICEO IACOPO, Il peregrino
Venezia, 1533
BUB, A.V.T.XIII.33

Cuoio di capra bruno su quadranti in cartone decorato a secco e in oro. Filetti concentrici. Il titolo dell’opera in testa al piatto anteriore, foglia cuoriforme piena negli angoli esterni della cornice dorata. Tracce di due coppie di bindelle. Scompartimenti ornati con ghiande entro steli fogliati mossi. Capitelli muniti di anima circolare avvolta da fili in canapa. Cucitura su tre nervi alternati a quattro verosimilmente apparenti. Indorsatura realizzata tramite aletta verticale cartacea di recupero. Rimbocchi rifilati senza particolare cura. Carte di guardia bianche. Tagli blu. Stato di conservazione: mediocre. Materiale di copertura parzialmente scomparso in testa e al piede del dorso. Cerniere particolarmente indebolite. Angoli ricurvi.

L’impianto ornamentale, che ricorda pure quello adottato dal legatore veneziano Andrea di Lorenzo attivo tra il 1520 e il 1550 circa, i fregi e le note tipografiche inducono ad assegnare la legatura al secondo quarto del XVI secolo, eseguita a Venezia dal Venezianischer Fugger-Meister o Maestro veneziano dei Fugger, connotazione attribuita dalla studiosa tedesca Ilse Schunke all’ignoto legatore veneziano attivo nel periodo 1535-1560 circa, derivato da quello dei banchieri e bibliofili tedeschi Fugger.

Questo atelier viene altresì designato con riferimento all’altro influente bibliofilo cliente, il cardinale de Granvelle e, più recentemente, con il soprannome di Apple binder attribuito dalla studiosa Mirjam Foot per il caratteristico ferro a forma di mela che compare nelle legature. Con il Maestro del ramo di rosa e il legatore Andrea di Lorenzo o Mendoza binder, partecipa all’evoluzione dello schema ornamentale delle legature veneziane cinquecentesche verso una composizione più varia, in cui ha maggior rilievo il campo centrale rispetto alla cornice.

Le legature, inizialmente eseguite su un gruppo di edizioni aldine, sono caratterizzate da una marcata sobrietà ed eleganza; in una serie successiva realizzata per un gruppo di manoscritti greci, lo stesso legatore impiega prevalentemente uno schema a rombo intersecato da una cornice rettangolare. Nel gruppo più tardivo, in un decoro più ricco e più libero, adotta le cornici arcuate, degli ampi riquadri muniti di arabeschi, delle cartelle centrali a filetti curvi e delle placche munite della mela, talvolta del simbolo di Cupido o della Fortuna al centro dei piatti. Lo studioso Anthony Hobson ha presentato una lista di circa 1208 legature attribuite a questa bottega, esclusa quella proposta. In evidenza i lacci, i nervi funzionali alternati a quelli verosimilmente apparenti, l’indorsatura realizzata tramite aletta di recupero e i tagli blu.