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"Arte e scienza al servizio di Pomona" : retroscena di una mostra
Vent’anni fa, “navigando” fra i tesori della Biblioteca Universitaria di Bologna, ebbi la fortuna di scoprire in Ulisse Aldrovandi un precursore della pomologia: me lo aveva rivelato un centinaio di suggestivi disegni sparsi nei dieci tomi dell’ “Hortus pictus” e raffiguranti un eterogeneo campionario frutticolo corredato dai nomi volgari e, talora, anche da una lapidaria descrizione delle specie e delle varietà prese in considerazione. Da allora ho continato ad occuparmi di tassonomia pomologica consultando sistematicamente le opere di Giovanni Battista Ferrari, Carlo Volkamer, Bartolomeo Bimbi, Pietro Antonio Micheli, Giovanni Targioni Tozzetti, Giorgio Gallesio, Francesco Garnier Valletti, e facendo conoscere i risultati delle mie indagini per il tramite dei tradizionali strumenti della divulgazione scientifica. Alle soglie del 2005, però, ebbi un’ispirazione che si tradusse presto in impegno: quella cioè di organizzare anche, per la prima volta, una mostra documentaria su questa affascinante tematica. Cominciai così a mettere a fuoco e ad elaborare il progetto di “Arte e Scienza al servizio di Pomona”, incoraggiato dall’Accademia Nazionale di Agricoltura che era allora alla ricerca di strumenti validi per celebrare il bicentenario della sua fondazione. Trascorsi il successivo biennio nell’immaginare e concretizzare il percorso e le tappe della mostra, destreggiandomi in attività per me nuove e non agevoli, a partire dalla ricerca dello spazio espositivo, poi felicemente trovato nella suggestiva cornice dell’Aula Magna della Biblioteca Universitaria di Bologna, fino al recepimento delle risorse finanziarie, poi generosamente assicurate da alcuni sponsor quali le Assicurazioni Generali di Trieste e la Fondazione Carisbo di Bologna. Ricorderò questa lunga e laboriosa fase preparatoria della mostra come una sorta di corsa a ostacoli nei recessi della burocrazia ministeriale e delle varie procedure che giustamente tutelano le opere d’arte in trasferta dalle rispettive sedi. In questo lungo itinerario in preparazione dell’evento quante volte, in piena notte, sono balzato a stilare estemporanei pro-memoria di operazioni da compiere dopo il sorgere del sole! Così, poco a poco, tra contrastanti stati d’animo, puntellando ansie e incertezze sull’altrui calma ed esperienza, sono finalmente giunti il 12 aprile 2007, con la sua festosa ed emozionante cerimonia inaugurale, e la successiva, rilassante pausa generosamente prodiga di un successo sempre più consolidato dal numero dei visitatori italiani e stranieri, dal loro non richiesto gradimento e dai positivi giudizi affidati da alcuni di essi al “giornale di bordo” della manifestazione: uno per tutti, ma per me particolarmente lusinghiero perché stilato da una mano notoriamente autorevole, quello che ha definito la mostra “un evento di grande interesse ed elegante”. Uno dopo l’altro sono trascorsi i quaranta giorni della prolungata apertura della mostra, la cui monotona sequenza temporale è stata interrotta solo dalla presenza di Autorità e Colleghi e dal rito delle “visite guidate” richieste da alcune scolaresche e da alcuni gruppi organizzati provenienti anche da altre città italiane. In questo modo ho però finito per perdere la percezione della reale portata della mostra e per considerare eterna questa effimera raccolta di cimeli e di immagini; fino a quando, il 20 maggio, giorno definitivo di chiusura della mostra, le luci sono state spente, le vetrine smontate, i pannelli rimossi, i frutti veri destinati al consumo, i cimeli accuratamente imballati e rispediti alle loro sedi di provenienza: l’Aula Magna, esaurita la sua generosa ospitalità, ha così recuperato il suo consueto e forse più congeniale aspetto di gloriosa, plurisecolare sala di consultazione di antici codici e manoscritti. Cosa resterà di questa mostra? Me lo sono ripetutamente chiesto, dopo tanto dispendio di mezzi, di tempo e di energie. E’ difficile dirlo, nell’affollarsi di tanti, eterogenei eventi espositivi. Per alcuni visitatori sarà forse l’inattesa conoscenza di una antica disciplina naturalistica ai margini della botanica e dell’arte e al servizio di una voluttuaria alimentazione. Per altri sarà forse una sintesi di piacevoli immagini sospese tra arte e scienza a testimoniare la dinamica biodiversità del germoplasma frutticolo italiano negli ultimi cinque secoli. Per me, ormai ottantenne, sarà soprattutto la soddisfazione di una scommessa vinta sulle residue energie e quella di un impegno culturale portato a termine grazie al concorso di generose istituzioni e di volenterose collaborazioni.
Enrico Baldini